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Costruire l'integrale giusto

Riepiloghiamo alcuni punti fondamentali che caratterizzano gli integrali definiti, che ci permettono di capire le loro possibili applicazioni. 1) gli integrali definiti possono essere visto come la somma di infiniti contributi che variano con continuità. Il primo esempio che abbiamo visto è l'area tra il grafico di una funzione. Se abbiamo una funzione che è costante in ogni suo tratto (quindi in ogni suo tratto il suo grafico ha sempre la stessa altezza), possiamo calcolare facilmente l'area sottesa moltiplicando ogni base per la corrispondente altezza e sommando i vari contributi Il fatto che la "altezza" del grafico (cioè il valore dell'output della funzione) cambi in continuazione ci impedisce di utilizzare le formule della geometria elementare (area del rettangolo, triangolo etc.)
Se però consideriamo il grafico di una funzione qualsiasi, avremo che la "altezza" del grafico (cioè il valore dell'output della funzione) cambia in continuazione, e questo ci impedisce di utilizzare le formule della geometria elementare (area del rettangolo, triangolo etc.)
L'area sottesa a questo tratto di parabola non è facilmente calcolabile, perchè si tratta di una forma irregolare la cui altezza cambia continuamente ed in modo complesso. 2) gli integrali definiti rendono possibile questo calcolo perchè si basano su un'approssimazione iniziale in cui si ha un numero limitato di contributi il cui valore è facilmente calcolabile. Nell'esempio dell'area sottesa ad una funzione si approssima quest'ultima con una funzione costante a tratti, la cui area sottesa è data dalla somma di semplici rettangoli. Il calcolo dell'integrale rende questi contributi sempre più numerosi e relativi ad un intervallo sempre più stretto, rendendo l'approssimazione sempre migliore.
Se approssimo la parabola con una funzione definita a tratti (data dall'insieme dei lati superiori dei vari rettangoli), l'area sottesa è facilmente calcolabile come somma di contributi semplici. Maggiore è il numero di contributi con cui approssimiamo la funzione, migliore è l'approssimazione; ma il metodo con cui si calcola il singolo contributo è sempre lo stesso. Il vantaggio dell'integrale definito è che calcolandolo otteniamo direttamente il risultato in cui i nostri contributi calcolati in modo semplice sono diventati infiniti, ed ognuno ha estensione infinitesima (, cioè alla situazione in cui l'approssimazione è diventata il risultato esatto. Una volta capito questo meccanismo, lo si può utilizzare per effettuare calcoli più disparati, purchè abbiano la stessa caratteristica, cioè possono essere definiti da somme di infiniti contributi che variano continuamente, Il primo esempio che abbiamo visto riguarda i solidi di rotazione, che abbiamo approssimato come la sovrapposizione di cilindri a raggio costante. In questo capitolo vediamo altri esempi di applicazione degli integrali; la parte a cui è necessario prestare più attenzione è quella della loro modelizzazione e costruzione, cioè al ragionamento con cui "scomponiamo" la grandezza da calcolare, in una prima approssimazione, in somma di contributi finiti. ESEMPIO 1: IL VOLUME DI UNA PIRAMIDE Consideriamo la piramide quadrata nella figura sotto e cerchiamo di calcolarne il volume. Se la osserviamo ci accorgiamo che la sua forma è troppo complessa per poter essere calcolata con le formule di geometria tridimensionale elementare (parallelepipedi, prismi, cilindri).
Se però in prima approssimazione riusciamo a vedere la piramide come la sovrapposizione di prismi quadrati (in altre parole approssimiamo la piramide con una piramide "a scalini"), possiamo vedere il suo volume come somma dei volumi di ogni gradino. Ogni gradino è un prisma ad area quadrata, quindi è dato dal prodotto dell'area di base per l'altezza.
Puoi trascinare la vista per ruotare l'oggetto e capire meglio il modo in cui stiamo approssimando la piramide. Questo è molto importante per capire come costruire il singolo contributo. Ponendoci frontalmente ad essa capiamo che il semi-lato di base dei vari gradini è definito dalla retta che congiunge il vertice ad uno degli spigoli di base.
Costruiremo i nostri gradini risalendo la piramide dalla base fino alla cima; ci rendiamo però conto che noi vogliamo calcolare il lato di base (che quindi è il nostro output, ma si trova sulle ) in funzione dell'altezza a cui di troviamo (che è il nostro input, ma è il valore della ). Dato che solitamente gli input e gli output sono posizionati sugli assi al contrario, riconsideriamo la situazione disponendo l'altezza della piramide sulle ed il lato di base sulle .
A questo punto abbiamo tutto il necessario per calcolare il volume del contributo elementare elemento di riferimento della nostra somma. Il lato del quadrato di base di ogni prisma a base quadrata è il doppio del valore della retta che descrive il profilo della piramide (nella figura sopra questo è mostrato per il secondo prisma). Passando all'integrale, ovvero ad infiniti contributi di prismi ad altezza infinitesima , teniamo presente che la retta che definisce il profilo della piramide ha equazione ed otteniamo Abbiamo ottenuto il volume della piramide, coerente con la formule . Ed a proposito di formula, vediamo come generalizzare il discorso appena fatto per ottenere la formula di una piramide quadrata con dimensioni qualsiasi. ESEMPIO 1a: VOLUME DI UN SOLIDO GENERICO (PIRAMIDE A BASE QUADRATA) Vediamo come possiamo grazie agli integrali definiti possiamo ricavare le formule di geometria a due e tre dimensioni che finora abbiamo preso semplicemente per buone. Ci basta generalizzare il grafico utilizzato prima.
La retta che definisce il profilo della piramide intercetta l'asse delle nel punto e l'asse delle nel punto , dove ovviamente e sono rispettivamente il laro di base e l'altezza generici della piramide. Riprendendo l'integrale visto prima, considerando i valori generici al posto di quelli specifici dell'esempio di prima. L'equazione della retta è ora e l'integrale diventa: che è la nota formula.
ESEMPIO 2: LAVORO COMPIUTO DA UNA MOLLA Vediamo ora un esempio completamente diverso: consideriamo una molla di coefficiente elastico e cerchiamo di calcolare il lavoro compiuto per allungare la molla da un allungamento ad un allungamento .
[size=85]La forza esercitata da una molla a fronte di un allungamento (od una compressione) [math]x[/math] è pari a [math]F=-kx[/math], dove [math]k[/math] è la costante elastica della molla ed misura la sua rigidità: tanto maggiore è [math]k[/math], infatti, tanto maggiore è la forza che è necessario opporre alla molla. Il segno [math]-[/math] sottolinea che la forza esercitata della molla è opposta al verso del moto, cioè vi si oppone.[/size]
La forza esercitata da una molla a fronte di un allungamento (od una compressione) è pari a , dove è la costante elastica della molla ed misura la sua rigidità: tanto maggiore è , infatti, tanto maggiore è la forza che è necessario opporre alla molla. Il segno sottolinea che la forza esercitata della molla è opposta al verso del moto, cioè vi si oppone.
Sappiamo che il lavoro svolto applicando una forza lungo un determinato percorso è dato da dove è la forza applicata e è lo spostamento compiuto lungo il percorso (in particolare a compiere il lavoro è solo la componente della forza parallela allo spostamento). Ad esempio se solleviamo un oggetto che pesa per 3 metri compiamo un lavoro di Nel nostro caso però l'intensità della forza cambia continuamente durante il tragitto, dato che ad ogni posizione attraversata la molla si allunga di un po' e quindi la forza a cui dobbiamo opporci è maggiore: la forza dipende dalla posizione che in cui ci troviamo, secondo la legge , dove è è l'allungamento (o la compressione) della molla in una determinata posizione. La forza che dovremo applicare sarà opposta a questa e quindi avrà espressione . Abbiamo ancora una grandezza che è data da contributi che cambiano con continuità. Possiamo allora immaginare di approssimare il lavoro come somma di contributi discreti: allunghiamo la molla di intervalli , presi abbastanza piccoli in modo che in prima approssimazione si possa pensare la forza resti costante all'interno di ogni intervallo. Questa approssimazione non è un problema, tanto sappiamo che il prossimo passo per giungere ad un integrale sarà quello di considerare infiniti intervalli di dimensione infinitesima, all'interno del quale la forza è effettivamente costante. Notiamo che la primitiva che abbiamo ottenuto coincide con l'espressione della energia potenziale elastica della molla, e che il lavoro che compiamo è proprio pari alla variazione di tale energia, cioè all'energia che trasmettiamo alla molla allungandola.